2009 miglia, 94 giorni di navigazione, 25 giorni di sosta forzata per cattivo tempo, 119 giorni complessivi di viaggio.
Guido Grugnola è la prima persona al mondo ad avere compiuto, in solitaria e in autonomia, la circumnavigazione della penisola italiana in kayak da Trieste a Ventimiglia, della Sicilia e della Sardegna. Maestro, Formatore e Guida della Federazione Italiana Canoa Kayak, è anche fondatore di Tuilik e istruttore del Centro Velico Caprera. Sempre in tema di vela, ha al suo attivo importanti risultati come regatante professionista nelle classi IOR – IMS – IRC e Maxi Yacht, in qualità̀ di sail trimmer e navigatore con la partecipazione a 21 Campionati Italiani e 16 Campionati del Mondo e come navigatore, sail trimmer e timoniere a bordo del Rolly-Go durante la Whitbread Round the World Race, oggi Volvo Ocean Race. Nel 1985 gli è stata conferita dal CONI la Medaglia d’Argento al Valore Atletico. Insomma, per portare il sea kayak a Caprera (con i corsi Kayak Inshore e Kayak Explore) non abbiamo avuto bisogno di cercare lontano perché il meglio ce lo avevamo già a ‘casa’
Sei un velista ma lavori come formatore e guida di kayak. Come è successo il passaggio da un’attività all’altra?
Ho iniziato da bambino ad appassionarmi di kayak e poi, durante gli anni delle regate, ho sempre coltivato questo sport: ogni momento libero era dedicato a scoprire dei torrenti nuovi o a navigare lungo coste meno frequentate. Poi, miglio dopo miglio, mi sono accordo che accompagnare altre persone a navigare per scoprire baie segrete e condividere emozioni a stretto contatto con il litorale, dove è impossibile arrivare se non con il kayak, mi dava molta soddisfazione…
Ma tra attraversare un oceano e una baia di 3 miglia cosa preferisci?
Sono due cose molto diverse ma entrambe danno delle emozioni molto forti. Accorgersi della presenza di una balena mentre sei in barca in pieno Oceano Indiano, perché prima senti un forte odore di pesce e solo dopo scorgi la grande remora che crea sul mare quando si immerge dietro un’onda che si abbassa lentamente, è indubbiamente emozionante. Ma navigare in kayak di notte, quando non vedi niente perché non c’è una stella, lungo un litorale selvaggio e sconosciuto e riconosci i suoni, gli odori e il movimento del mare che cambiano in funzione del tipo di costa e del tipo di territorio che c’è all’interno, anche questa è una sensazione molto forte e diversa!
Quali sono i valori che kayak e vela hanno in comune?
Sicuramente il piacere di condividere il mare, un ambiente dalla ricchezza straordinaria e immutato nei millenni, con i propri compagni di navigazione; poi l’opportunità di fare amicizie profonde, che durano una vita e che rimangono vive anche quando capita di non potersi frequentare per molti anni. Di certo hanno anche in comune una certa disciplina, prima mentale e poi operativa. Kayak e vela condividono inoltre la capacità di distinguere e mettere a fuoco il nostro stato di preparazione per fare fronte a determinate condizioni in mare; l’abitudine a tenere costantemente monitorati la salute mentale e fisica dell’equipaggio/gruppo e lo stato di efficienza della barca/kayak e delle sue dotazioni e la consapevolezza che i risultati arrivano solo dopo un impegno intenso e continuativo. Infine entrambe le attività – outdoor e all’aria aperta – ti insegnano a definire con attenzione gli obiettivi prima di raggiungerli e a vivere esperienze indimenticabili in prima persona. In tutti i casi la vela e il kayak offrono l’opportunità di sviluppare delle qualità che impiegheremo per tutta la vita (anche in altri ambiti) e la possibilità di migliorare, anche di poco, la vita degli altri. Da quello che ho visto finora della vita penso che non sia poco quello che ci danno sia il kayak che la vela, e che siano un buon investimento.
Hai fatto la circumnavigazione in kayak d’Italia da Trieste a Ventimiglia, della Sicilia e della Sardegna in solitario e senza assistenza. Perché hai deciso di partire?
Intorno al 2010 ho deciso di prendermi un periodo di riflessione: ho preparato il kayak e le dotazioni e dopo qualche uscita di “allenamento” a pieno carico e in condizioni particolarmente impegnative sono andato a Trieste. Qui gli amici dello YC Adriaco mi hanno accolto e messo a disposizione un angolo di banchina per una settimana per terminare i preparativi. Sono partito il 27 di Aprile del 2011 e dopo 120 giorni sono arrivato a Ventimiglia… Il Rounditaly Cruise è stata un’esperienza davvero speciale. 2009 miglia percorse in 94 giorni complessivi di navigazione, a una media giornaliera di 21 miglia e molti giorni fermo per burrasca. Sapevo che avrei incontrato persone e visto luoghi speciali ma non avrei mai immaginato la portata di questa navigazione. Giorno dopo giorno, mese dopo mese, navigando dalle 4 della mattina (sia perché il mare a quest’ora di solito è in bonaccia e si naviga meglio sia perché ci concede lo spettacolo dell’alba di ogni giorno) fino alle 3-5 del pomeriggio, il kayak mi ha riportato a un contatto più diretto con il mare. Ho visto banchi di pesce accostarsi e fermarsi sotto di me, mante e pesci spada sfiorare il mio kayak quasi per cercare un contatto fisico e esibirsi in ripetuti salti davanti alla mia prua, uccelli che giravano per ore sopra di me seguendo con gli occhi il mio movimento e… Sono tornato a casa diverso. Non solo ho osservato tutto il litorale italiano, metro dopo metro, (non ho mai tagliato un’insenatura) ma ho dei ricordi e racconti di marinai e non marinai davvero incredibili che mi hanno aiutato e fatto scoprire quello che da solo non avrei mai neanche notato.
Un episodio che ricordi e che vuoi raccontare?
Me ne viene in mente uno, poco eroico forse, ma indicativo della vita di un kayaker, perché potrebbe somigliare a un episodio capitato a un kayaker di 4.000 anni fa. Durante la circumnavigazione della Sardegna stavo raggiungendo Punta Marmorata, con l’obiettivo di entrare a Santa Teresa di Gallura, dove avrei potuto fare rifornimento di acqua e viveri. Il ponente insisteva già da tre giorni, sapevo che una volta arrivato agli scoglietti prima di Marmorata avrei dovuto decidere se procedere o atterrare su una spiaggia per bivaccare. Avanzavo lentamente, con molta aria in prua e stavo a pochi metri da terra per rimanere ridossato dal mare che nel canale aveva già “mandato a casa” le poche barche che girano in aprile. Arrivato a Marmorata, ho pensato di poter procedere per le ultime 2 miglia (il mio protocollo personale mi permette di proseguire solamente quando ho la consapevolezza di avere ancora riserve fisiche, mentali, acqua e cibo per altre 5-6 ore di navigazione in condizioni in peggioramento). Ho girato il Capo e raggiunto Santa Teresa, stando alla larga dalla scogliera, dove ormai il mare frangeva abbondantemente, e mi sono ritrovato, minuscolo, nelle Bocche di Bonifacio, con maestrale dichiarato. Il mio piccolo kayak si arrampicava su infinite onde collinari e poi scivola giù, per lunghissimi minuti, su onde di proporzioni giganti, infinite, se paragonate alle dimensioni di un kayak. A questo punto ho cercato di proseguire, come faccio in questi casi, con il minimo sforzo e la minima presa al vento, e cercando di ottenere il massimo avanzamento e il piacere nel farlo. Sono entrato a Santa Teresa dopo sole 2 miglia di quello che chiamo trattamento “lavatrice” e poi ho rallentato ulteriormente. Alla fine sono entrato in questo fiordo lunghissimo, nella calma totale, quasi surreale. Le persone che quella notte mi hanno generosamente accolto a bordo della loro barca, risparmiandomi di montare la tenda, non credevano che in quelle condizioni un kayak potesse entrare in porto provenendo dal Canale: loro aspettavano in banchina che le condizioni migliorassero! La morale è che in kayak, avendo un’adeguata preparazione, si ha la possibilità di procedere anche in condizioni molto impegnative. L’importante è essere consapevoli della nostra vulnerabilità e quindi fare un piccolo passo per volta. Nel complesso sono più le volte in cui ho dovuto rinunciare rispetto a quelle in cui ho deciso di proseguire, da solo o con un gruppo, ma questo capita anche quando si è in barca in mare: ecco perché occorre essere marinai per capire e amare il sea kayak! E questa è anche la ragione per cui il sea kayak è così diffuso in Francia in Bretagna, in Irlanda, nel Regno Unito in Cornovaglia, nel Galles e in Scozia e in tutta Scandinavia!
A chi vuole iniziare a scoprire il sea kayak cosa vorresti dire?
Il minimo indispensabile: per navigare dobbiamo diventare marinai e per essere marinai dobbiamo prima imparare le tecniche. Ma poi quello che conta dopo, anche per migliorare, è navigare il più possibile, e se possibile farlo con altri marinai più bravi di noi, meglio se per più giorni di seguito. Poi suggerisco di non perdere di vista il vero scopo: il mare. La barca, qualunque sia, rimane un mezzo. Nel momento in cui la barca o il kayak dovesse diventare il fine, e, di conseguenza, il mare il mezzo per poterlo usare, perderemmo il legame con l’ambiente e la capacità di analizzare e prevedere le condizioni o di saper manovrare serenamente.